LA ANTRIGUITA’ DELL’ESSERE UMANO – e la trappola del “si-maismo”
LA ANTRIGUITA’ DELL’ESSERE UMANO – HOMO TRIFRONS E LA TRAPPOLA DEL “SI-MAISMO”
Uno strumento analitico per antropologia e sociologia
PREMESSA
Nell’ambito delle analisi antropologiche e sociologiche emerge, non di rado, il problema della giusta definizione d’un fenomeno, d’un elemento, d’una condizione o d’un contegno. Ciò vale per la curata descrizione d’un comportamento, d’un modo di pensare, d’un avvento collettivo, d’un fenomeno sociale e quant’altro. Trattasi di concetti e atteggiamenti generati e posti in mostra dall’essere umano nel proprio contesto, sia di pensiero che di gruppo. Questi procedimenti fungono da indicatori che, posti sotto osservazione, hanno il compito di produrre analisi al massimo grado obiettive e non dipendenti da influenze, sia personali che da un pensiero abitudinario – collettivo.
Un intento poco sicuro se, nella descrizione di tali espressioni non viene definito, in modo ben circoscritto, il soggetto che produce siffatte espressioni indicative insieme la sua caratteristica. Trattasi, in questo caso, la descrizione analitica dell’essere umano.
E’ l’uomo quel punto di partenza che, prima d’ogni sua definizione comportamentale, va circoscritto e descritto perché, proprio per l’evidente triplice, ovvero “antrigua” caratteristica del suo essere, è lui il modellatore dell’osservato contegno. Inoltre, ogni definizione, per appunto attività con una sua specifica finalità, va presa e analizzata per questa sua caratterizzante peculiarità e non in base a quello che, spesso e volentieri, nella quotidianità viene inteso.
Osserviamo una moltitudine di siffatti equivoci quando antropologi e sociologi si accostano, per esempio, alla illustrazione delle differenze riscontrabili nei fenomeni di gioco, sport e agonismo. Attività che, per loro finalità, risultano completamente diverse ma, nei relativi simposi, e in modo alquanto imbarazzante, esse vengono spesso sovrapposte. Si può osservare come il conferenziere, sia durante il convegno che ad ogni mirata domanda, egli intervenga con un “si – ma” dando vita, in tal modo, a quel fenomeno che qui battezziamo con il nome di “simaismo“.
Contorcimento che giustifica tutto l’osservato e il suo contrario creando, in tal modo, un valido piedistallo per chi si destreggia nella mirata disinformazione delle masse.
UN ESEMPIO SIGNIFICATIVO: LA DEFINIZIONE DI: ATTIVITA’ FISICA – SPORT – AGONISMO
L’ambiente così detto sportivo è un ambiente che mostra molteplici risvolti e, pertanto, con la parola sport si tende a dare diversificate definizioni a questo termine. La percezione di questa espressione è un frutto culturale che si evolve secondo i sentimenti, i comportamenti ed il scenario formativo di un determinato gruppo in uno specifico momento. Quando ci troviamo al bar e, per esempio, ci intratteniamo con un amico sulla partita di calcio svoltasi nel fine settimana, siamo convinti di esserci occupati di sport ma, se andiamo in piscina e nuotiamo cento vasche, usiamo lo stesso termine e, così facendo, ci rendiamo convinti di aver trattato di sport. Lo stesso dicasi se ci impegniamo in una gara di tennis cercando di vincere la coppa del relativo trofeo. In tal modo siamo stati capaci di utilizzare il termine sport per attività che, fra di loro, presentano esecuzioni e finalità completamente diverse.
Sunto dal libro di Klaus von Lorenz
“Sport – Storia di un Inganno – panem et circenses al giorno d’oggi – ISBN 978-88-6537-447-4 |
Nella nostra quotidianità sentiamo pronunciare diverse definizioni di sport. Ogni qualvolta che un’assemblea di genitori si incontra essa allude a questa attività quale ideale occupazione didattica per un approccio alla collegialità e alla collaborazione da parte dei figli. Qualcuno parla di quanto lo sport sia in grado di servire alla salute, altri ancora accennano alla vittoria di una squadra e, altri ancora, si sentono sportivi solamente se consultano un periodico intitolato in tal modo. Perciò, volendo fare una scelta di come utilizzare tale termine, viene abbastanza difficile essere coerenti con un suo lineare, non ambiguo, significato.
Se poi andiamo indietro nel tempo, allora ci accorgiamo che il cosiddetto sport veniva utilizzato con una ben diversa filosofia e serviva a scopi differenti da quelli che oggi noi sosteniamo anche se, spesso e volentieri, ci è gradito alludere ad un parallelismo fra epoche remote e il presente. Nel periodo ellenistico lo sport veniva esercitato esclusivamente dai maschi. Il tutto, con un certo criterio rituale e religioso anche se, nel sottofondo, esso era sempre finalizzato al pensiero e all’addestramento bellico. Nel 19° secolo, in pieno fervore delle consapevolezze e delle iniziative nazionali, lo sport diventa quell’attività che serve ed aiuta ad accentuare, sia il senso d’appartenenza che la supremazia della propria nazione o della stirpe.
Oggi il concetto di sport fa strada a quella mentalità occidentale che si pone il baluardo della meritocrazia, del successo, della valutazione, dell’identità personale e viene, a contempo, vistosamente supportato dall’incentivo all’efficacia e all’efficienza. Il tutto con il lasciapassare e la perbenistica giustificazione del salutismo. Tutte vaghe e imprecise definizioni.
Notiamo allora, che una qualsiasi definizione può risultare fuorviante se usata come espressione generica proveniente dal modo di dire comune. Infatti, le diverse designazioni di tale attività che, nel tempo si sono susseguite, avrebbero dovuto concedere allo sport quei diversi appellativi che designano le relative finalità.
Partiamo dalla base biologica ponendoci la domanda se lo sport appartiene ad una attività naturale, così come essa viene, spesso e volentieri, presentata. La risposta appare indubbiamente negativa anche se, negli ambienti sportivi, si cerca di ostentare detta attività con l’appellativo di naturale. In tali ambienti si pone in rilievo che lo sport viene svolto con il proprio corpo il quale, per appunto, rappresenta una realtà naturale.
Se però riflettiamo, allora ci accorgiamo che ogni singola persona ha iniziato l’attività sportiva in base ad introduzioni e insegnamenti pervenuti da altre persone e non tramite uno stimolo istintivo. Tale attività, se di origine naturale, dovrebbe scaturire dal nostro subcosciente ed emergere spontaneamente già dalla prima infanzia. Infatti, per naturale possiamo intendere solamente quei movimenti arcaici che ogni essere vivente esegue senza aver avuto bisogno d’un insegnamento. Esse si sviluppano in base a dispositivi biologici che si manifestano automaticamente come l’alimentazione, la riproduzione, lo spostamento, e quant’altro. Si tratta di tutto quel bagaglio che la natura concede al singolo individuo con finalità indirizzata unicamente alla sopravivenza personale e alla convivenza reciproca nel gruppo.
NATURA – CULTURA: LA DIFFERENZA
Tutto quello che noi eseguiamo con l’invenzione di quel meccanismo d’emergenza che denominiamo intelligenza, non è azione naturale, bensì un procedimento artificiale. Così, sia il vestito come anche la ruota, sono prodotti derivanti da un ingegno umano, definito culturale, e che può essere attuato solamente dopo un lungo percorso cognitivo cosparso da non pochi ostacoli. Questi impedimenti ci appaiono, al termine del nostro percorso istruttivo, come qualcosa di semplice ma, se cerchiamo di immedesimarci nei nostri antenati, che nella storia ci hanno preceduto, allora ci accorgiamo che il passaggio dal naturale al culturale si snoda attraverso tre fondamentali complessi procedimenti:
1 osservazione . . . . connettiva . . . del fatto
2 verifica . . . . . . . . . . . .rievocativa . . . del fatto
3 trasferimento . . . . cognitivo . . . . . del fatto
Per raffigurare quanto sinteticamente elencato cercheremo di proporre due semplici esempi. Ciò a scopo probatorio riguardo il menzionato cammino evolutivo e, a stesso tempo, per evidenziare l’abisso che, per appunto, distingue il concetto di naturale da quello culturale.
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Prendiamo un roditore il quale, verso la fine d’autunno, inizia a raccogliere noccioline per il letargo invernale stivandole nella sua tana. Noi a questo punto ci intromettiamo e, anticipandolo sui tempi, gli riempiamo la dimora con tutto il cibo che gli potrà servire. Il tutto presupponendo che lui, vedendo il magazzino già pieno, rinunci a dedicarsi alla raccolta. Nulla di questo succederà ed egli, seguendo la sua naturale e istintiva imposizione, continuerà la collezione dando atto ad un accumulo come, per appunto, imposto dal suo subconscio impulso. Conferma del fatto che egli non ha captato quel connesso culturale che porta a comprendere l’addizione di materia finalizzata ad un piano proiettato nel futuro.
In tal modo possiamo osservare la mancanza dell’elemento connettivo e, pertanto, il passaggio alla verifica e alla successiva sperimentazione rimane precluso.
Riflettiamo riguardo l’invenzione dell’arco da tiro sviluppata dall’uomo. In questo caso ci accorgiamo che il passaggio dei tre summenzionati punti di osservazione, verifica e trasferimento vengono presi del tutto in considerazione. Col passare del tempo qualche umanoide ha compreso, tramite osservazione deduttiva, la flessibilità dei rami d’un albero poi, mentalmente collegando, prova un qualsiasi marchingegno che funzioni con suddetta elasticità e, in fine, se soddisfacente, insegna questa tecnica trasmettendola ad altri membri del proprio gruppo di appartenenza.
Quanto descritto non può essere trasmesso per via genetica, bensì solo tramite diffusione. Un sapere che può rimanere in vita unicamente a condizione che non si interrompa quel percorso di formazione culturale con i tre accennati livelli di osservazione, verifica e trasferimento. Difatti, osservando i diversi popoli vissuti nel passato, ci accorgiamo che essi hanno sviluppato, in maniera indipendente, invenzioni rimaste sconosciute ad altri gruppi.
Ciò proprio perché, per assenza di contatto, veniva a mancare quel terzo punto: il trasferimento del sapere. Senza questo trasferimento il proseguimento di detto atto culturale viene irrimediabilmente interrotto. Pensiamo qui alle classiche invenzioni come la ruota, la bussola, i calcoli matematici, e tant’altri sviluppi. Difatti, le tecniche per la realizzazione di questi ideazioni non esistono e non sono previste nell’eredità biologica della natura umana.
Analoga situazione la troviamo, sia nello sport che nella sua astrazione e, come vedremo più avanti, ci sono popoli che, esenti delle nostre esperienze, non concepiscono il comportamento sportivo delle culture occidentali e, pertanto, essi valutano strani certi nostri modi di agire. Un esempio indicativo sia l’indifferenza osservabile nelle popolazioni dei paesi nordafricani verso le gare europee organizzate nei loro ambienti. Pensiamo alle maratone ed ai rally nei deserti che alle scalate estreme e quant’altro.
LA TRIPARTIZIONE DELL’ESSERE UMANO: NATURA – CULTURA – LUSSO
Per meglio evidenziare la differenza che passa fra l’azione naturale e l’elaborato culturale ci avvaliamo d’un grafico con tre tracciati i quali, sviluppati nella stessa base, nel loro ulteriore percorso si divergono. Prendono il via dalla natura poi, sotto l’influsso e la gestione dell’intelligenza, essi imboccano un’altra strada. Trattasi di quei varchi che l’essere umano ha dovuto percorrere nel corso della sua evoluzione.
UOMO TRIFRONTE . . . ANTRIGUO
Inizialmente, per necessità, egli si è distaccato dalla natura sviluppando, in tal modo, la cultura e poi, entrando nella consapevolezza d’una creazione d’identità, ha maturato la messa in scena del lusso.
Il primo segmento, quello della natura, percorre immutato la sua strada orizzontale proprio perché la natura stessa, nel tempo, non ha portato mutazioni considerevoli ed è rimasta, tale e quale, fedele ai suoi primordiali messaggi. Pensiamo qui al corpo umano come esso, a livello naturale, è rimasto nelle orme di quel sistema biologico dal quale egli è scaturito. Difatti, ci sono sistemi nella struttura corporea che ancora non sanno, dopo migliaia e migliaia di anni, che detta struttura, ovvero il corpo dell’essere umano, ha subito fondamentali modifiche causate esclusivamente dall’influsso culturale.
► Pensiamo al fenomeno della pelle d’oca, congegno programmato a innalzare il pelo e, in tal modo, formare uno strato d’aria quale isolamento termico. La peluria umana però, è praticamente del tutto svanita e il menzionato isolamento termico non può verificarsi. Difatti, il congegno biologico che regola lo stimolo alla pelle d’oca non ha ancora ricevuto l’informazione di questa assenza di peli e, malgrado ciò, egli svolge tuttora, e da svariati millenni, diligentemente la sua, ormai inutile, comparsa.
► Il muscolo cardiaco è collocato nel torace nel modo ideale per soddisfare la postura orizzontale del quadrupede. Nella posizione perpendicolare, inventata dall’uomo, esso dovrebbe scegliere una diversa sede per evitare, sia le maggiori sfide idrodinamiche che le aumentate esposizioni invasive.
► Il metabolismo biologico umano non ha ancora elaborato il fatto che l’uomo, dopo lo svezzamento dal latte materno, si sia indirizzato culturalmente al consumo del latte animale. Ne è la prova che, ancor sempre dopo lo svezzamento, la natura toglie al pargolo la lattasi, quell’enzima dedicato alla scissione del lattosio contenuto nel latte. L’effetto, riscontrabile in tutto il mondo, lo si nota dall’incompatibilità intestinale e dall’alto tasso di allergie dovute al consumo culturale di latte animale.
Esempi classici del fatto che la natura dell’uomo, al contrario d’un fenomeno culturale, non ha saputo reagire in tempi brevi alla modificata situazione e che i suoi adattamenti, quando questi subentrano, risultano assai lenti a verificarsi. All’inverso, l’emergenza di sopravvivenza, con la susseguente invenzione dell’intelligenza da parte dell’uomo, ha concesso la possibilità di reagire alle mutate situazioni in tempi molto più rapidi ponendo in campo strumenti e procedure che risultano maggiormente all’altezza del relativo compito.
Prendiamo l’esempio del camminare. Per questo procedere è stata trovata una sostituzione inventando il cavalcare su animali oppure il viaggiare su ruota. Azione molto più efficace ma, comunque, artificiale la quale, per il fatto di essere una elaborazione meditata e trasmessa, appartiene ad uno svolgimento prettamente culturale. Questi comportamenti artificiali, scaturiti da una necessità, si ripetono in ogni angolo del mondo e in ogni momento della vita umana e, in tal modo, essi sono diventati patrimonio della nostra consuetudine. Essi ci appaiono nella consapevolezza della quotidianità come atti normali trasmettendoci erroneamente la percezione di atteggiamenti naturali.
Possiamo pertanto notare come la cultura, con la sua tecnica e i suoi elaborati, aiuta alla sopravvivenza però, a stesso tempo, essa allontana l’uomo dalla vita naturale in modo esponenziale. Il grafico esprime chiaramente questo divarico così come esso viene ulteriormente confermato in ambito sociologico evoluzionistico. Tutte le attività e tutti gli oggetti che ci circondano sono ormai di derivazione culturale e questi si differenziano da quegli oggetti e quelle attività di altri popoli che, per appunto, hanno sviluppato differenti culture in base a diverse condizioni e diverse esigenze.
Troviamo, all’infuori di oggetti e invenzioni materiali, anche altri fenomeni che appartengono al patrimonio e alla caratteristica culturale. Pensiamo a fattori razionali e, per derivazione, a contesti comportamentali come le religioni, le leggi, i galatei, i vestiari, le mode, le lingue, e quant’altro. Ed è proprio in questo contesto che va collocato il fenomeno, sia del pensiero sportivo che dell’elemento sport. Questi, anche se eseguito con un movimento naturale del corpo, persegue un insieme di finalità culturali scaturite da uno specifico gruppo umano, come per esempio la produzione di conquista, e, pertanto, non può ricevere l’appellativo di attività naturale.
Continuando il percorso ci imbattiamo nel fenomeno del lusso, elemento esibizionistico che aiuta a porre in luce, dal latino lux, una propria inventata identità. Scaturendo dalla cultura esso si presenta sotto forma d’una violenta ostentazione atta a produrre e sottolineare ruoli che pongono in risalto le anelate identità. Il tutto collegato a egocentrismi, avidità, violenze, soprusi e quant’altro. Basti osservare l’obiettivo perseguito da tutte le forme delle diverse mode indirizzato esclusivamente all’ostentata esibizione.
Nello sport succede la stessa cosa e, a livello di lusso, possiamo osservare la nascita dell’agonismo. Fenomeno che, offrendo ruoli anelanti al predominio, crea avidità di risultati e identità da esibire.
Applichiamo ora la sequenza natura – cultura – lusso al fenomeno sportivo:
NATURA . . . . . attività fisica
CULTURA . . . . sport
LUSSO . . . . . . agonismo
Una configurazione che, a primo impatto, può sembrare strana. Per meglio comprenderla elencheremo, nello stesso modo, alcune diverse attività che, nella nostra quotidianità, sono ormai fortemente consolidate. Trattasi di attività che, ad ogni livello, vengono da noi inconsapevolmente vissute come atti naturali e, nonostante la differenza della loro finalità, nel gergo quotidiano esse vengono sempre definite e nominate con un loro unico nome.
Fra le elencate azioni quotidiane ci serva, quale esempio rappresentativo, l’elemento del cibo.
Natura – fabbisogno di base per la sopravvivenza
– raccolta e consumo diretto del materiale commestibile
– procedimento eseguito con le mani, unico strumento disponibile
Cultura – ampliamento di garanzie alla sopravvivenza
– utilizzo di strumenti – caccia – agricoltura
– utilizzo di tecniche – stoccaggio – essicazione – modifiche – ecc.
Lusso – gastronomia – sommelier – ghiottoneria – ecc.
Quest’ultimo, il lusso, anche se utile a certi scopi simbolici e rituali, può ancor meno denominarsi naturale. La gastronomia, con tutti i suoi contorni di etichette, galatei, orari, ricettari e chi più ne ha più ne metta, opera con finalità assolutamente non pertinenti all’alimentazione mirando in prima linea all’esibizione.
Onde potersi fare un quadro indicativo di questo triplice intreccio delle denominazioni d’un agire umano abbiamo stilato una tabella riportante alcuni esempi significativi riguardo fenomeni che noi, racchiusi nella nostra quotidianità, spesso e volentieri percepiamo e denominiamo con un’unica e comune definizione.
Unica e comune definizione che, proprio nei dibattiti e nei convegni, sia di sociologia che di antropologia e filosofia, produce sbandamenti, insicurezze e imprecisioni nei concetti.
NATURA CULTURA LUSSO
cibo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .cucina . . . . . . . . . . . . . . . .gastronomia
raccolta spontanea . . . . . . . agricoltura . . . . . . . . . . . giardinaggio
silenzio – suono . . . . . . . . . . . . musica . . . . . . . . . . . . . . . virtuosismo
gesto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .linguaggio . . . . . . . . . . . .recitazione
cammino . . . . . . . . . . . . . . . . . .veicolo . . . . . . . . . . . . . . . turismo
nudità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vestiario . . . . . . . . . . . . . moda
convivenza . . . . . . . . . . . . . . . . . religione . . . . . . . . . . . . . culto
sessualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . .morale . . . . . . . . . . . . . . . . perbenismo
A questo punto ci accorgiamo che, dal passaggio del comportamento naturale a quello culturale, e poi dal comportamento culturale a quello del lusso, non sussiste una netta separazione e che in ogni livello si riscontra sempre una componente del livello antecedente dal quale esso deriva. Osservando il grafico vediamo come i singoli vettori siano rivolti verso diverse direzioni. Questo sta ad illustrare come l’azione da essi rappresentata si stia indirizzando verso un obiettivo disuguale al segmento d’origine. Il nuovo segmento avrà come scopo una finalità completamente diversa rispetto al vettore dal quale esso è scaturito ma, ciononostante, da parte della persona citante, l’azione rappresentata viene sempre denominata con un unico nome cumulativo.
Rimaniamo ancora nel tema del cibo ed esaminiamo il vettore natura. Qui, la finalità di base sussiste nella sopravvivenza immediata la quale non si preoccupa di sapori, orari, o simili formalismi sociali, bensì dell’immediatezza e della garanzia d’una sicura acquisizione alimentare.
Nel caso della cucina, si veda il segmento cultura, osserviamo come questa si occupa di cibo trasformato e, al contempo, la sua finalità non consisterà più nella grezza ed immediata sopravvivenza, bensì nel supporto ad un gruppo culturale, quale la famiglia o gruppi sociali. Il tutto annesso alle particolari strutture di produzione, a tempi di scadenze e a sistemi di misurazioni. Un percorso finalizzato anche a progettazioni che guardano, mediante la trasformazione e la conservazione degli alimenti, al prossimo futuro.
In queste congiunture risulta evidente il diffuso coinvolgimento sociale per cui, automaticamente, con lo sviluppo di prodotti culturali, anche culinari, si modificano comportamenti e forme specifiche del pensare che diventano autentici indicatori di distinzione fra una cultura e l’altra.
Nell’accostamento alla gastronomia, si veda il segmento del lusso, viene evidenziata un’ulteriore invenzione che, pur avendo il cibo come oggetto, non pone l’accento, né sul fabbisogno immediato né sulla sicurezza cumulativa bensì, con ostinazione, sull’appagamento del gusto, sul divertimento voluttuario e sull’esibizione sociale.
Con il menzionato schema di natura – cultura – lusso, siamo ora in grado di analizzare, in modo più qualitativo e quantitativo, l’agire ed il presentarsi dell’essere umano. Egli è costantemente sottoposto alle tre menzionate influenze alle quali, unendole contemporaneamente, deve anche saper rispondere.
E’ CAPACE DI: sopravvivere . . . . nel settore . . . . natura
agire . . . . . . . . . . nel settore . . . . cultura
esibirsi . . . . . . . . . nel settore . . . . lusso
RIESCE A: vivere su . . . . . . . . .tre diverse . . . . . .concezioni
possedere . . . . . . . tre diverse . . . . . esigenze
rispondere a . . . . . . tre diversi . . . . . richiami
COORDINA: tre . . . . . . . . . . . . . . .influenze . . . . . . .contrastanti
tre . . . . . . . . . . . . . riflessioni . . . . divergenti tre . . . . . . . . . . . . . . . . . volti . . . . . . . . . . . disuguali
Pertanto, per delineare in modo completo e particolareggiato questo quadro umano, desideriamo integrare la raffigurazione di quell’antica e ben studiata figura di Janus Bifronte che, sotto forma di Homo Ambiguus, simboleggia l’ambiguità dell’uomo. Di conseguenza, per la configurazione più realistica e concreta dell’essere umano il quale, come avvalorato, vive ed agisce contemporaneamente una tripartita struttura su tre diversi livelli e si presenta come un Janus Trifronte, proponiamo questa nuova definizione di Homo Antriguus ovvero:
Uomo Trifronte . . . . Uomo Antriguo
Torniamo alla nostra considerazione iniziale per la quale abbiamo intrapreso questo percorso chiarificatore. Alla luce delle nuove considerazioni proviamo ad osservare ed analizzare come diversi fenomeni, con significati ed obiettivi completamente diversi, vengano denominati con un singolo termine. Prendiamo ancora l’esempio del cibo. Nel vivere quotidiano si utilizza l’espressione di cucina o di mangiare però, stare dietro le pentole diverse ore oppure andare al ristorante non corrisponde, ne ad un esigenza immediata, ne alla produzione d’emergenza di scorte alimentari. Notiamo la differenza nel caso del mangiare in fretta mordendo un pezzo di pane alla guida d’un automobile, oppure pranzando in famiglia o, viceversa, facendo una lunga e minuziosa ricerca in un menu di un ristorante di lusso. Utilizziamo sempre una stessa parola per concetti completamente diversi ovvero, cucina oppure mangiare. La giustificazione la prendiamo dalla circostanza che il fattore costante in tutte le elencate situazioni sia la presenza di cibo ma, così facendo, generiamo un’enorme distorsione in un qualsiasi contesto di una più approfondita discussione. |
Spostiamo l’analisi fin’ora eseguita nell’ambiente dello sport e ben presto ci accorgeremo che anche in questo settore regna l’analoga confusione per la definizione del termine. In una qualsiasi forma sportiva viene sempre utilizzato il proprio corpo però, gli obiettivi di queste esecuzioni perseguono finalità completamente diverse. Anche in questo caso ci muoviamo nei tre diversi vettori di natura – cultura – lusso utilizzando sempre lo stesso termine sport per quelle tre diverse attività che, in realtà, vanno suddivise nei settori di attività fisica – sport – agonismo.
Questa incoerenza di denominazione ha prodotto, e produce tuttora, un’enorme confusione. Così facendo, si concede il lasciapassare a tanti organismi, enti e funzionari di manipolare intenzionalmente i tre diversi concetti e di entrare in tematiche ambigue e fuorvianti indirizzate a confondere le persone. Prendiamo, a questo scopo dal settore cibo, un ulteriore esempio per evidenziare la produzione di tali programmate confusioni. Osserviamo gastronomi che, totalmente all’oscuro di scienze dell’alimentazione, spiegano, a scopi prettamente voluttuari, finti concetti di benessere elevandosi a esperti dell’alimentazione. Essi promuovono, in sontuosi locali, le proprie sfarzose ricette culinarie abbinate a vini e liquori d’alto rango. Il tutto, naturalmente, sotto quell’unico nome di cibo.
Questa confusione di concetti la possiamo riassumere evidenziando alcune esemplari situazioni. Si parla di cucina ma, a stesso tempo, si intende sia alimentazione che degustazione gastronomica. Si parla di musica e si indica, contemporaneamente, sia il concetto trascendentale del suono che l’abilità manuale di un virtuoso. Con religione viene inteso, sia il misticismo interiore che la fede oppure il culto insieme alla gestione clericale, e quant’altro.
Ora, nel caso dello sport, modello per la nostra analisi, con l’unica parola sport viene interpretata, sia la persona che fa ginnastica in casa come pure il mistico corridore solitario nel bosco però, a stesso tempo, anche l’attività regolamentata del golf o del baseball e, nondimeno, l’accanimento dell’agonista o della squadra professionista.
Sport, termine che viene confuso e sovrapposto per tre concetti e per tre attività che possiedono tre finalità completamente diverse. In tal modo si provoca uno scompiglio da non sottovalutare. Non per ultimo , quest’unica definizione viene utilizzata intenzionalmente per produrre cosmesi di informazione, di confronto e di percezione. Ciò per coprire tutti quei risvolti negativi che vengono generati proprio da quelle differenti attività che si nascondono sotto la stessa denominazione di sport.
IL FENOMENO DEL SIMAISMO
L’ambiguità e l’incertezza delle definizioni porta, sia nell’ambiente stesso che in quello antropologico analitico, a insicurezze tali che, nelle molteplici conferenze su tal tematiche, si può osservare veri e propri spettacoli di funambolismo verbale. Ed è proprio con le definizioni di gioco, sport e agonismo che, spesso e volentieri in ambiente scolastico, molti antropologi tengono convegni cercando di offrire spiegazioni realistiche. Però, non seguendo, come sopra descritto, una logica della tripartizione umana, essi accennano ad un fenomeno e, poco dopo lo negano.
Basti pensare al falso utilizzo del termine gioco. Una disputa di calcio indirizzata alla vittoria, ovvero alla produzione di sconfitti, viene denominata gioco proprio per dare una copertura di perbenismo a tal insegnamento alla violenza. Pertanto un antropologo, prima di avvicinarsi a tal analisi, egli dovrebbe entrare nella realtà delle definizioni e scindere tale realtà dal nome comune inflitto dalla comunità.
Quando, alla fine della conferenza, qualcuno pone delle domande notiamo come, proprio per l’accennato funambolismo, il relatore si trincea dietro un si per poi arrivare all’opposto con un ma. Cioè si confermerà, per ovvie ragioni di logica, la domanda posta dall’interlocutore ma, a stesso tempo, si giustificherà il contrario interpretando a piacimento, o secondo canoni convalidati, l’azione discussa.
Possiamo pertanto affermare che nel flusso delle affermazioni di copertura introduttive, poi sempre rattoppate con un ma interpretativo, la ripetitività del si e del ma sia talmente elevata da dare atto ad un vero e proprio fenomeno che contraddistingue perfettamente la descritta circostanza.
A questo fenomeno ci siamo permessi di conferire il nome si-ma-ismo.
Trattasi di un elemento che riscontriamo, non solamente durante un qualsiasi dibattito diretto, bensì lo percepiamo anche tramite i detti e le enunciazioni ufficiali che vengono espresse, sia mediante la divulgazione pubblica che nei diversi convegni. Esso non emerge solamente nell’ambiente dello sport, bensì anche in tutti quei ambienti nei quali predomina la salvaguardia di facciata e nei quali ogni affermazione richiede una propria interpretazione di comodo.
Una delle più eclatanti testimonianze che danno origine al simaismo la troviamo quando azzardiamo ad accennare alla violenza agonistica incitata nei giocatori delle diverse squadre con indirizzo competitivo. Additando a quel riversamento di esperienze violente nell’indole degli adolescenti riceviamo sempre l’identica e consueta risposta: si, ma…si fa per gioco. Affermazione che non sta minimamente in piedi e non regge ad alcuna logica, dato che abbiamo in prima linea sempre a che fare con l’induzione alla produzione di sconfitti e non al contenuto ludico della partita.
Di seguito può succedere che il tecnico di turno, o il presidente della società, spieghi all’incompetente interlocutore che con la cosiddetta anelata vittoria non si debba intendere un insegnamento con impronta crudele, bensì una lezione indirizzata al compimento di una sana competizione. Definizione di massima ambiguità che provoca ulteriori dubbi riguardo tutte le affermazioni mascherate da simaismo. Ciò per il fatto, che proprio quest’ultima espressione di sana competizione risulta essere nient’altro che una pura contraddizione. Difatti, una competizione non può pregiarsi dell’appellativo di sano essendo essa sempre motivata a sopraffare il rivale. In tal modo si indirizza l’esecutore ad atti ripetitivi che, col tempo, gli concedono una subconscia acquisizione a contegni violenti.
Abbiamo a che fare con incongruenze e contraddizioni che, causa la loro abitudinale denominazione, fanno sgambetto anche a chi, a livello sociologico analitico, si prende cura di tal fenomeni. Difatti, tornando ai relatori di questi studi, abbiamo sempre recepito, da parte loro, una sovrapposizione di concetti mescolata a incongruenti denominazioni.
Nella quotidianità gli sport di squadra vengono definiti giochi. Niente di più errato. Il gioco ha la finalità di intrattenere spontaneamente e senza regole l’individuo che lo esegue e, pertanto, il tendere ad una vittoria corrisponde ad una disputa e non ad un gioco.
Lo stesso dicasi quando si accenna al gioco d’azzardo, avidità materiale che possiede tal nome solamente a scopo d’una ambigua copertura. Ne è prova la denominazione ufficiale di ludopatia che, per logica, non può esistere. Difatti, il gioco, con la sua azione positiva, non può produrre dipendenza e, per correttezza, tal patologia dovrebbe chiamarsi avidopatia.
Simaismo, concetto che lo riscontriamo quotidianamente sui quei giornali che portano nel titolo il nome di sport, ma nell’interno non c’è alcun accenno a tale attività. Si parla esclusivamente di agonismo.
CONCLUSIONE
Con l’ampio divarico tematico abbiamo definito quella tripartizione dell’essere umano che si rende fondamentale nel momento che ci si avvicina ad eseguire una qualsiasi analisi sui fenomeni e sui comportamenti dell’essere umano. Ciò in ambito della sociologia, dell’antropologia e della filosofia. Le quotidiane e abitudinali definizioni non vanno prese quali basi dell’analisi e, pertanto nei trattati e nei convegni, queste vanno ridefinite in base alla loro reale finalità.
Finalità che, in base alla tripartizione umana, può essere indirizzata verso il settore della natura, della cultura oppure del lusso.
Così facendo si evita di entrare nel vortice del simaismo senza dover eseguire funambolismi verbali da parte dell’esecutore e produrre incomprensione da parte dell’osservatore.