LA METAFORA DELLA GUERRA
– AGONISMO SPORTIVO –
CONGEGNO PER TRASCINARE LE MASSE
Gestire, governare o dominare il popolo – Nascita del gruppo dominante – Psiche di massa
Agonismo non è sport – Induzione alla bellicosità – Parallelismo fra agonismo e guerra
Una qualsiasi formazione d’una comunità richiede, per la propria gestione, una o più persone di riferimento che siano in grado di coordinare gli interessi comuni del gruppo. Questi personaggi vengono scelti e delegati dalla comunità in base alle esperienze ed alle caratteristiche qualitative personali che essi dimostrano di possedere e di mettere a disposizione del nucleo in questione. Questo procedere è ben osservabile in quei popoli naturali che, consistendo in esigui raggruppamenti autosufficienti, gestiscono la loro società ed il loro svilupparsi in tal maniera.
A questi gestori il gruppo elargisce una propria identità che, sia dall’atteggiamento che dall’esteriorità, li distingue dagli altri individui. Forme che servono a porre in risalto, non tanto l’affermazione e l’esibizione di se stesso, bensì ad evidenziare questi personaggi quale punto di riferimento per una qualsiasi forma di sostegno, collaborazione e consiglio. Attività che, comunque, possiede come base il dare, il concedere, l’elargire, l’aiutare, il coordinare il gruppo e quant’altro.
Man mano però che il gruppo si ingrandisce, subentra sempre più un distacco fra il coordinatore e le persone e, così facendo, l’organizzazione diretta del gruppo diventa sempre più una gestione di popolo. Proseguendo in tal senso e, aumentando, sia la popolazione che la distanza fra gestore e gestiti, notiamo un ulteriore cambiamento. Difatti, venendo a mancare, da parte del gestore, la diretta immedesimazione nelle problematiche, la menzionata gestione viene sostituita da un governo delle masse.
Lo sviluppo di tale distacco fra le persone e la sempre più centralizzata posizione dei menzionati governatori ha fatto sì che detti gestori abbiano iniziato a intravedere in se stessi dei lumi e, pertanto, a sviluppare un vero e proprio percorso autoreferenziale. Questi personaggi, ponendosi in tal modo al centro dell’attenzione, iniziano a recepire nel loro compito sempre più una inversione del proprio mandato e, così facendo, essi aspettano che i benefici non siano indirizzati verso il popolo, ma che sia il popolo a procurarli ad essi.
Da questo modo di pensare ed agire scaturisce quella scaletta gestionale che inverte la tendenza dal dare al prendere ovvero, all’abbrancare.
Nasce, in tal modo, una celata forma di gruppo dominante.
In questo breve accenno possiamo osservare come, nei menzionati percorsi, si siano sviluppate, da parte del gruppo gestore e dal popolo stesso, diverse forme espressive e percettive del concetto di identità. Nel comparto del dare, l’identità viene concepita come quel mettersi in mostra in una certa configurazione ovvero, mostrarsi identici all’aspettativa per segnalare la disponibilità di porsi a favore dell’altrui persona con la esibita capacità.
Nel comparto del prendere invece, l’identità si evidenzia quale forma di pura esibizione senza alcun fondamento, ne altruistico ne sociale. Puro autoreferenziale egocentrismo.
Se inizialmente lo sport raffigurava l’intenzione
di muoversi con diletto e divertimento liberatorio,
il gruppo dominante lo modificò in quell’attività che
rispecchia il pensare, l’organizzare e l’agire militaresco.
Osserviamo i popoli naturali come essi organizzano l’educazione dei pargoli. I bimbi si dedicano, sotto l’osservazione degli adulti, a giochi spontanei senza interferenza genitoriale e, così facendo, essi pongono liberamente in evidenza le proprie innate qualità espressive e motorie. Gli adulti osservano tali evoluzioni limitando il proprio intervento all’agevolazione dell’innata tendenza. Il pargolo che, con diletto si tuffa nell’acqua, potrà diventare un abile pescatore e, chi costantemente si arrampica sugli alberi, potrà svilupparsi quale produttivo raccoglitore, e così via. Attività indirizzate all’equa distribuzione di beni per la sussistenza del gruppo. In tal modo si formerà un’identità che sarà uguale per tutti ovvero, il pescatore riceverà la stessa stima dell’agricoltore, questi sarà equiparato al cacciatore e così via. Non esisterà il borioso campione, l’esaltato eroe, l’osannato rappresentante simbolico del gruppo, e quant’altro. Rispecchio fedele del su descritto pensiero collocato nel comparto delle gestioni finalizzate al dare.Al contrario dei su descritti svolgimenti osserviamo, nelle moderne culture industrializzate, una tendenza della gestione dei popoli che si muove del tutto nel citato comparto del prendere.
I gruppi dominanti, per padroneggiare sulle masse popolari, si sono sempre avvalse del comando diretto, sia con la forza verso il servo della gleba che con l’autorità morale verso il borghese. Con l’avvio della cosiddetta democrazia queste forme sono andate in disuso e, in tal modo, la tecnica del dirigere le masse ha dovuto cambiare strategia. Invece di comandare dell’alto, il gruppo dominante entra nella sfera intima delle persone e, lavorando sulla psiche, le induce sulla strada voluta. Ed è proprio lo sport uno dei più rilevanti fenomeni nel quale, su indicazione dei psicologi delle masse, ogni gruppo dominante d’ogni stato moderno si è convogliato.
Lo sport, attività nata all’inizio dell’era industriale per de – sportare le persone dal diventare attrezzi meccanici, ha ricevuto un grande consenso popolare che non sfuggì all’attenzione dei gruppi dominanti. Essi si introdussero subito in quel settore iniziando a gestire e modificare tal emergente elemento. Sia d’esempio il comparto clericale il quale, inizialmente per morale, era contraria allo sport ma poi, vedendo la possibilità gestionale e conformante del popolo, congegnò una esorbitante organizzazione sport agonistica.
Se inizialmente lo sport raffigurava quell’intenzione di muoversi con diletto e divertimento liberatorio, il gruppo dominante lo modificò in quell’attività che, meticolosamente, rispecchia il pensare, l’organizzare e l’agire bellicoso militaresco. Elemento che, inconsapevolmente, viene acquisito nel subconscio d’ogni persona, sia dell’esecutore che dello spettatore. Nasce l’agonismo che, per mantenere subdolamente l’apparenza etica, viene comunque denominato sport. Raggiro talmente ben escogitato che, tutt’oggi, ben poche persone si rendono conto di quella grande differenza che passa, proprio in questo caso, fra il mezzo e il fine.
Difatti, un fenomeno riceve la sua definizione solamente tramite la sua finalità ( de – finitione ) e non dal mezzo con cui esso viene eseguito. Però, in tutti i media si utilizza la denominazione sport per fenomeni che tali non sono. La finalità di questi fenomeni, anche se eseguiti con lo sport, consiste unicamente nel perseguire risultati ovvero, imporsi su altrui persona.
Chi veramente vuole fare sport non ha bisogno di pubblico, di funzionari, di arbitri e quant’altro. L’agonismo, al contrario d’un qualsiasi concetto di sport, di sbandierate etiche e di annunciati perbenismi, rappresenta nient’altro che il sinonimo d’una produzione di sconfitti.
Meta che l’avido gruppo dominante celatamente ambisce onde poter usurpare, con militi persuasi e masse convinte, l’inventato nemico di turno. Un rivale che, per poterlo saccheggiare d’un bramato materiale, va esposto alle masse popolari quale pericolo per la propria religione, per la propria cultura e quant’altro.
Cercheremo di porre brevemente in evidenza, tramite semplici analogie, come questo fenomeno di non percepibile immissione istruttiva viene, consapevolmente ben gestito da parte del gruppo dominante, e come esso viene, inconsapevolmente ben assimilato da parte del popolo.
Analizziamo alcuni atteggiamenti agonistici che, ormai ben recepiti, ricalcano fedelmente la fonte bellicosa. Ciò con il sunto di alcuni passi dal libro:
SPORT – STORIA DI UN INGANNO – panem et circenses al giorno d’oggi – Klaus von Lorenz – ISBN 978-88-6537-447-4
FIAMMA OLIMPICA– La fiamma olimpica venne inventata da Göbbels, efficacissimo trascinatore delle masse che, lavorando per Hitler, riuscì a persuaderlo ad organizzare le olimpiadi del 1936.
Chi a tutt’oggi la impiega fa finta di non saperlo.
TRAGUARDO – E’ quella falsa meta che, tramite lo sport scolastico, viene inculcata già nell’età infantile. Il vero concetto di traguardo significa, per appunto tra – guardare, ovvero osservare attraverso un’apertura il desiderato attivo progredire. L’apprendista si pone un traguardo intravedendo il diploma, il maturando traguarda verso l’università, i fidanzati traguardano verso una famiglia, e quant’altro. Nell’agonismo, al contrario, il traguardo significa aver vinto, produrre sconfitti e diventare campione.
Il futuro ? Finito lì ! Si veda l’avvilimento del campione che, per la prima volta, viene sconfitto !
SCATTO DI PARTENZA E ASSALTO – Per misurare una prestazione di velocità si pongono persone una vicina all’altra e, ponendole sotto tensione, le si fa partire di sorpresa. Azione indirizzata unicamente a spettacolo perché, se si vuole misurare la velocità degli atleti, basterebbe farli partire con un semplicissimo, cadenzato conto alla rovescia. Inoltre, senza dover fare spettacolo, si può far partire una persona dietro l’altra e misurare la prestazione. Non si fa, sarebbe sport !
Inoltre, non ci facciamo più caso, il segnale di partenza, sui posti – pronti – via, ricalca esattamente la situazione della trincea o della fucilazione: puntare – mirare – fuoco ! Il pubblico esalta !
EROISMO – Analogamente al gergo militare anche nello sport agonistico si ricorre alla denominazione di eroe per chi ha prodotto immagine esteriore positiva per la terra di derivazione. Lo sportivo deve rappresentare i soldati deceduti in battaglia i quali, dopo aver perseguito lo scopo del gruppo dominante, con ipocrisia, vengono denominati caduti e non ammazzati. Traguardo senza futuro.
Lo sportivo vincente, ritenuto eroe, riporta mentalmente alle commemorazioni che vengono tenute per gli eroi delle guerre passate. Il messaggio che trasmette l’eroe agonista è prettamente esibizionistico, sia in ambito sportivo che in quello d’interesse politico. Finalità alla quale le masse vanno mantenute in tirocinio e, non per ultimo, con la frottola del popolo di navigatori e di eroi.
Pensandoci bene, i navigatori mancano da casa anni interi mentre gli eroi muoiono al fronte e, pertanto, risulta impossibile una loro riproduzione in patria. Dal fronte tornava a casa, e si riproduceva, solamente chi, saggiamente, sapeva trattenersi dal fare l’eroe ovvero, chi non seguiva la lezione dell’agonismo.
Non ci si chiede cosa rende lo sport all’atleta,
bensì cosa rende l’atleta allo sport
PRESENZA DEI POLITICI – Significativo parallelismo al sistema militare con la continua presenza di politici in ogni occasione di un qualsiasi evento sportivo che presenti rilevanza nel offrire messaggi di identità territoriale. Per esempio, ad ogni trasferta olimpica assistiamo al culto del saluto da parte del presidente della repubblica. Rituali che assomigliano a procedimenti di benedizione e imitano esattamente il rituale per le partenze dei soldati verso il fronte. Non mancano i vessilli nazionali e l’inno della patria.
UNIFORME – Abbigliamento talmente penetrato nella percezione, sia dell’atleta che dello spettatore, che la squadra viene spesso denominata in base all’uniforme che essa indossa. Una distinzione fra contendenti si può realizzare vestendo semplicemente magliette bianche e nere. Ciò non viene fatto per non smantellare quell’importantissimo trascinamento delle masse consistente nell’orgoglio d’appartenenza. Specialmente se nazionale.
Ogni persona, militare, sacerdote, capostazione, medico o sportivo che sia,
appena veste la propria uniforme si identifica nel nuovo ruolo
e modifica artificialmente il proprio atteggiamento
diffondendo un’identità e un contegno che,
nel vestiario quotidiano,
non sapeva emanare.
BANDIERA – Ricalca identità e appartenenza ponendo in auge il ruolo detenuto nel mondo militare. Nelle dispute sportive la bandiera, analogamente alle marce e alle conquiste militari, è la prima ad avanzare. Il pubblico la sventola e, all’inizio delle olimpiadi si assiste ad una marcia con bandiera, esattamente come nel settore militare. Questa poi, avvolgerà i vincitori riportandoci esattamente alle guerre, agli armistizi e quant’altro.
INNO NAZIONALE – Ogni qualvolta che un gruppo di atleti si presenta ad un qualsiasi incontro competitivo internazionale viene intonato il relativo inno nazionale. Ciò in occasione d’entrata allo stadio come pure durante la premiazione. Difatti, analogamente al comportamento militare, è sempre il cosiddetto vincitore ad esibire la propria supremazia sventolando la propria bandiera al suono dell’inno nazionale.
PARATA E MARCIA – In occasione dell’inaugurazione d’una disputa internazionale, come le olimpiadi, si è sempre potuto osservare come le delegazioni delle diverse nazioni si presentino entrando nello stadio a passo di marcia salutando il pubblico con lo sventolio della bandiera. Col tempo si tende a smantellare la camminata a passo di marcia, resta però comunque la linea di comportamento della sfilata. Questo stare insieme sotto uno scroscio di applausi da parte del pubblico provoca commozione e, così come nelle parate militari, uno stimolo alla consapevolezza d’appartenenza.
Stretta analogia con il classico comportamento del corteo militare: uniforme, bandiera
ESPRESSIONI AGGRESSIVE – I valori dello sport trasmettono, almeno verbalmente, un messaggio idilliaco riguardo l’approccio all’attività sportiva. Richiedono però all’atleta agonista diverse prestazioni contemporaneamente le quali, contrastanti fra di loro, alimentano nello sportivo un conflitto interiore che, in modo univoco, viene evidenziato dall’espressione corporea. Esigere di rispettare regolamenti e, a stesso tempo, pretendere di vincere hanno sempre portato gli agonisti a comportamenti indirizzati a non rispettare le regole. Situazioni analoghe a quelle che si riscontrano nelle battaglie militari nelle quali, pur di vincere, le regole sono sempre state ignorate. Indicatori di questo controsenso sono le espressioni corporee aggressive che vengono esibite, sia da militari che da agonisti sportivi.
VITTORIA – ESULTANZA – Si va in guerra per vincere ma, stando ai valori dello sport, in detto ambiente la vittoria dovrebbe essere un termine completamente sconosciuto. Difatti lo sport, almeno a parole, dovrebbe avere quale unica finalità quella di aiutare la persona che lo esegue. Con la ricerca di vittoria invece, si rimarca, da parte dell’atleta, un subordinamento all’attività svolta. Cioè, non ci si chiede cosa rende lo sport all’atleta, bensì cosa rende l’atleta allo sport. Analogia perfettamente riscontrabile proprio nell’ambiente e nella filosofia militare: esercitarsi per ottenere vittoria ed esultare sulla avvenuta produzione di sconfitti.
Vista dai vertici dello sport nazionale la vittoria serve esclusivamente a riportare, come ampiamente ribadito, alla consapevolezza di appartenenza da parte d’un pubblico ammaestrato e consenziente. A questo scopo la vittoria viene resa attuabile solamente in un contesto di sport organizzato e in gruppi ufficialmente riconosciuti come associazioni e delegazioni nazionali. Pertanto, il singolo non rappresentato da un ente ufficiale viene escluso, anche se all’altezza di competere, da una qualsiasi partecipazione ad una olimpiade. Atteggiamento molto sportivo !
Il rito della premiazione, copiato tale e quale
dal sistema militaresco, viene inserito
per confermare l’atto vittorioso
d’una persona a scapito d’altre
PREMIAZIONE – Questo rito, copiato tale e quale dal sistema militaresco, viene inserito per confermare l’atto vittorioso d’una persona a scapito di altre. Per questo motivo, aver dimostrato di essere superiore e d’aver prodotto sconfitti, l’atleta viene premiato. Esattamente come nel caso del soldato si procede ad un ufficiale rito pubblico che dia stimolo di emulazione e lustro al territorio che l’atleta rappresenta.
MEDAGLIE – L’oggetto metallico consegnato ad un militare distintosi in occasione di una operazione bellica ha il compito, venendo esibito, di stimolare i commilitoni a copiare le gesta del premiato. Lo stesso dicesi per le medaglie conferite agli atleti vincitori di gare agonistiche. Queste devono stimolare molti giovani ad avvicinarsi a quel tipo di attività agonistica che promuove, tramite le vittorie, lustro per la nazione. Questi trofei, una volta incorniciati e appesi al muro, simbolizzano e rispecchiano le missioni belliche le quali, per produrre vittorie, hanno dovuto produrre sconfitti.
RADUNARE E TRAINARE – Altra situazione condivisa tra sport e militarismo la riscontriamo nel fenomeno di raggruppamento di persone. Nell’ambiente militare risulta normale vedere maree di persone che si assemblano, sia dalla parte dei militari che dalla parte dei civili. Difatti, nelle parate militari osserviamo come migliaia di soldati sfilano davanti ad una miriade di spettatori civili. Lo stesso dicasi per quei raggruppamenti effettuati in occasione di partenza per le missioni belliche.
Analogia perfetta che si riscontra negli stadi dove enormi folle di spettatori si addensano mischiate ai tifosi mentre nelle manifestazioni di massa, come le grandi maratone cittadine o le dispute ciclistiche, si nota una marea di persone dalla parte dei partecipanti.
Fenomeno che si nota nelle parate militari, nelle festose invasioni delle piazze in occasione delle dichiarazioni di guerra e ai rispettivi slogan.
Anche qui riscontriamo il parallelismo degli eventi nei quali la psiche e la manipolazione di massa cresce rigogliosa. Perché è dal raduno che inizia la trasformazione persuasiva a scopo di trascinamento.
DURATA D’EDIFICAZIONE STADI – Analogamente alle costruzioni belliche come ponti, passi, fortificazioni e quant’altro, proprio nel settore agonistico notiamo un parallelismo nella breve durata edificatrice degli stadi. Difatti, la megastruttura dello stadio Juventus è stata realizzata in soli due anni. Periodo da porre a confronto con i decorsi costruttivi di ospedali ed altre strutture sociali.
Al gruppo dominante interessa che ogni domenica in Italia affluiscano ca. 1,5 milioni di persone al richiamo del flauto magico di spettacoli agonistici.
LINGUAGGIO BELLICOSO – NAZIONALISTA – Nel sistema agonistico il parallelismo con il pensiero militare lo si riscontra anche nel modo di parlare e di esprimersi. Ulteriore indicatore di come viene concepita questa attività. Leggiamo nei periodici del settore il tipico frasario che vige negli ambienti cosiddetti sportivi:
– L’atleta milita nella squadra agli ordini di un capitano.
– Andando sul piede di guerra egli combatte da ottimo cannibale.
– Come un mostro fa stragi, facendo assalti atti a devastare i rivali.
– Per demolire il nemico egli impone il dominio sugli avversari.
– Così egli ottiene la vittoria dopo aver espugnato tutti i campi.
– In tal modo lui diventa il dominatore, ovvero un ottimo bomber.
Il pubblico, quotidianamente legge e assorbe. A questo modo di esprimersi e pensare vanno aggiunte tutte quelle, sempre usate, espressioni che collegano la guerra alla nazionale.
– L’Italia ha qualcosa in più delle altre squadre . . .
– Questa Italia può battere tutti . . .
– Italia, fai vedere chi sei . . .
– L’Italia si salva . . .
– Grande Italia . . .
LA MENZOGNA DELLA CATARSI – Spesso e volentieri viene sbandierata, da parte dei vertici ed esperti sportivi, la teoria della catarsi, fenomeno che, secondo Konrad Lorenz, porterebbe a tranquillizzare lo stato d’animo di qualunque persona che si esponga ad osservare attività competitive violente. Elemento sempre contraddetto da tutti i psicologi. Il menzionato premio Nobel per l’etologia ha ammesso il suo errore di deduzione dal regno animale a quello umano e, nel 1974, ha pubblicamente ritirato questa teoria.
Però, pur di sbandierare l’illusorio fenomeno della catarsi, la ritirata di Lorenz viene volutamente occultata.
CONCLUSIONE
Nel contesto dello sport rinveniamo un’enorme intromissione da parte del gruppo dominante per il semplice motivo che detta attività si è talmente diramata e, contemporaneamente, assurta a simbolo identitario, sia di singole persone che di gruppi.
La distinzione fra attività sportiva e attività agonistica viene intenzionalmente ignorata onde poter giustificare quel sempre proclamato beneficio derivante dall’esercizio sportivo. Con questa deviazione di realtà i vertici dello sport desiderano ingannevolmente sottolineare che sono proprio loro quei organismi che gestiscono la parte positiva e salutare del menzionato fenomeno. I cosiddetti valori dello sport non entrano nemmeno in minima parte nell’ambito dell’attività agonistica però, questo gioco di parole e la loro inversione di significato giova moltissimo a chi ambisce indurre il popolo a seguire finalità ben diverse.
Abbiamo visto come i concetti e la dialettica utilizzata ricalchi esattamente l’espressione d’una tipica adozione militare. A queste osservazioni viene sempre ribadito, che le parole e i concetti così manifestati configurino solamente un semplice prestito dal linguaggio bellicoso e che l’esecuzione delle dispute sportive non trascini ad un pensiero violento. In queste contrapposizioni scorgiamo una inconsapevole forma di ammissione di colpa e di dubbia coscienza da parte di chi emana codeste interpretazioni. Difatti, specialmente l’adulto che segue le dispute agonistiche, è perfettamente consapevole di figurare da esempio trainante, in questo caso in modo negativo, verso gli adolescenti. Già per questo si cerca di camuffare le competizioni con il nome di sport e poi, accennando alla produzione di sconfitti, si afferma che lo si fa solamente per gioco.
Anche in questo caso abbiamo a che fare con una ipocrita copertura della realtà. Il gioco, sia per gli animali che per l’uomo, è quell’attività che permette al pargolo e all’adolescente di avvicinarsi alla realtà della vita sociale del proprio ambiente proprio tramite esperimenti e tentativi di accostamenti corporei che, saggiando fra un errore e l’altro, trasmettono informazioni sui limiti e sulle aperture di convivenza possibili. Esso è, per questa ragione, uno svolgimento esplorativo ed educativo che, addizionato con dispositivi fantasiosi da parte degli educatori adulti, provoca piacere e legame affettivo. E non solo nell’ambito del ristretto gruppo d’appartenenza famigliare, bensì anche verso l’esterno con apertura e curiosità positiva verso altri individui.
Il bambino esplora spontaneamente i limiti naturali del proprio sé specificamente tramite il gioco. Attività preponderante fino all’età di ca. 6 anni che permette all’individuo di formare un Selbstbewusstsein ovvero, la consapevolezza del sé.
Fenomeno che, secondo come esso viene gestito, sfocia in una corrispondente futura forma di identità.
Ed è proprio durante questa fase che si interviene con la psicologia strumentalizzata per l’addestramento sport – agonistico. Avviando il pargolo al cosiddetto sport, lo si deruba dell’elemento gioco, fondamentale scuola di vita, e, sostituendo anche i genitori, egli viene introdotto al pensiero bellicoso. L’identità del futuro adulto sarà completamente manipolata e, sicuramente, con tendenza esclusivista.
Importante è, esattamente come nella psicologia militare, insegnare l’appartenenza, la complicità verso il collega, la vittoria, il risultato per il gruppo e simili atteggiamenti. Ma si fa per gioco !
Il cosiddetto divertimento, dall’agonista interpretato come gioco, lo si riscontra solamente nel caso di vittoria, sia da parte del singolo che da parte della squadra. Se la competizione fosse realmente un divertimento giocoso, allora non si osserverebbe, durante le dispute, tutti quei visi tesi da rabbia, apprensione e angoscia con posizioni corporee aggressive accompagnate da imprecazioni e invettive allucinanti. Tutti gli studi in tal direzione confermano come, sia atleti che spettatori, al rientro in famiglia dopo una disputa sportiva, essi tendano a provocare un significativo aumento di litigi e aggressioni assunte proprio dalle antecedenti esperienze agonistiche. Si veda solamente l’incremento del bullismo.
La ripetizione di attività negative rivolte al danneggiamento altrui entrano inesorabilmente nel subconscio dell’esecutore, attivo o passivo che sia, il quale, senza accorgersi, diventerà egli stesso esattamente quell’esecutore di desideri e ordini, così come subdolamente stabilito e organizzato dal gruppo dominante.
Ce lo dimostra lo stesso spettatore il quale, ogni qualvolta egli si esprime in merito agli avvenimenti della squadra da lui seguita, oppure riguardo i risultati sportivi della delegazione nazionale, egli userà sempre l’espressione possessiva. Si sentiranno frasi come noi abbiamo vinto, la nostra squadra, NOI siamo forti e quant’altro. Importante è aver posizionato la massa popolare su un gradino della scala delle convinzioni dove l’annientamento d’un altro individuo è solamente l’ultimo di quei gradini che, proprio tramite la persuasione agonistica, sono facilmente percorribili.
Scripta manent, verba volant sed exempla trahunt . . . ma è l’esempio che trascina !
Agonismo, perfetto esempio bellico. Il gruppo dominante lo utilizza
per manipolare e trascinare il popolo.